Weekend a Los Angeles: blockbuster o flop?

Avevo deciso di passare il mio primo weekend statunitense in totale tranquillità, magari spaparanzata su una spiaggia a leggere il mio bel libro (che ho quasi finito, spero di pubblicare presto la recensione!), invece le ragazze che ho conosciuto qui mi hanno convinto a seguirle a Los Angeles. Allettata dalla proposta di trascorrere due giorni nella terra dove i sogni prendono vita, non ho potuto che accettare! Sarò il più sincera possibile: questa città mi ha purtroppo lasciato un po’ di amaro in bocca.

Il Griffith Observatory è il punto migliore per ammirare la scritta più famosa al mondo

Le persone con cui ho parlato dopo essere tornata dal mio breve viaggio mi hanno riferito che questa delusione accomuna un po’ tutti: i turisti si aspettano una città scintillante e attraente, proprio come quella che si vede nei numerosi film girati qui, e ovviamente lo scontro con la realtà è ben diverso (e anche un po’ sgradevole per i miei gusti). Il mio veloce tour per la città è iniziato da Venice Beach, essenzialmente una passeggiata tra chioschi che vendono corn dog, negozi di souvenir un po’ trasandati e barboni, per poi continuare a Beverly Hills, probabilmente uno dei quartieri più noti e più ricchi della città, dove ho potuto vedere il bellissimo municipio della città, dall’aria molto spagnola, e uno strano stagno ricoperto di ninfee al neon, che di notte s’illuminano! Anche il Griffith Observatory, punto panoramico sulla città, dal quale si può anche osservare la scritta preferita di qualsiasi cinefilo, è un luogo piuttosto interessante: avrei preferito passare più tempo all’interno dell’osservatorio, dedicando più attenzione alle diverse mostre, e soprattutto poter vedere l’eclisse di ieri mattina da qui!

Ultima tappa della giornata, la Hollywood Walk of Fame, probabilmente la via più famosa del mondo: ecco, è qui che iniziano le note dolenti. Se le precedenti tappe della visita potevano anche essere soddisfacenti, questa per me è un grande pollice verso: strapiena di gente (forse poco meno di Times Square) e di negozi di ogni tipo, dalle classiche catene ai più pacchiani negozi di souvenir, conditi da tantissimi ambulanti che propinano a turisti boccaloni prodotti di infima qualità, comprese foto con serpenti (veri!) al collo e gli immancabili travestiti da supereroi, la perfetta attrazione per i camminatori più babbei. Dovrete prestare molta attenzione a dove mettete i piedi, perché tutti sono intenti a leggere i nomi sulle stelle di marmo collocate a terra, e soprattutto, in prossimità delle celebrità più amate, non manca il capannello di turisti in posa per una foto ricordo. Credo che la sola stella di Michael Jackson si conquisti il 70% delle fotografie giornaliere scattate qui! Altre stelle, invece, forse perché un po’ fuori dal percorso più battuto, non sono minimamente calcolate dall’orda impazzita: il mio animo sensibile ha provato un po’ di pena per i poveri artisti dimenticati. Almeno ho avuto fortuna, perché vicino alla stella del mio amato Tom Hanks non c’era nessuno, e ho potuto inserirla nella mia raccolta di immagini senza bloccare il passaggio altrui!

The Lily Pond

La mia gita si è conclusa con mezza giornata a Santa Monica e una breve passeggiata agli Universal Studios, dove un negozio chiamato Popcornopolis ha catturato la mia attenzione! E’ stato un fine settimana intenso, ma penso mi sia stato utile per capire che non sono molto entusiasta di Los Angeles. Forse è per il suo essere traboccante di persone che credono di vivere in una realtà parallela (e quindi magari si comportano in modo un po’ incivile), oppure perché l’ho trovata più simile a una trappola per turisti, una città che cerca di farsi bella ma che in realtà è un po’ troppo superficiale. Vale il viaggio? Direi di sì, è uno di quei luoghi che prima o poi si sente la curiosità di visitare una volta nella vita. Ci tornerei? Non credo: troppo costosa per quel che ha da offrire realmente, troppo maleodorante, e io sono troppo newyorkese per schierarmi a favore della West Coast!

A Pacific Life: le mie prime 72 ore a San Diego

E così sono finita una quarta volta negli Stati Uniti: dopo cinque anni ho rimesso piede in California. L’ultima volta che sono stata qui ho vissuto un’esperienza pazzesca, ho stretto amicizie che durano ancora oggi ed ero nel periodo probabilmente più folle della mia vita. Quest’anno mi sono spostata un po’ più a sud, e anche se per ora di San Diego ho visto ben poco (ma ci sono ancora 53 giorni a disposizione) ho deciso di raccontare le mie prime 72 ore in questa dinamica città.

L’immancabile foto aerea di Manhattan

Ho pensato tanto al filo conduttore da assegnare a questa nuova esperienza, e ho pensato che A Pacific Life potesse essere il motto giusto: non solo perché, banalmente, San Diego si affaccia sull’omonimo oceano, ma soprattutto perché ho aspettato tanto questo viaggio, questo volo, perché ero convinta che per me sarebbe stato una boccata d’aria dalle zavorre mentali di ogni giorno, un nuovo modo per mettermi alla prova e ricordarmi di che cosa fossi capace. E lo so, sono qui solo da pochi giorni, ma sta succedendo di nuovo, proprio come la prima volta, sei anni fa: sono completamente sola, in mezzo a centinaia di sconosciuti, eppure mi sento completamente a mio agio, completamente me stessa.

Questa volta ho anche aggiunto la lieve difficoltà di imbarcarmi in un lungo volo intercontinentale completamente in solitaria, un’ulteriore sfida a me stessa. Sono a contatto con persone da ogni parte del mondo, e sin dal primo momento ho dovuto abbandonare la mia lingua madre e (finalmente) rispolverare il mio inglese, tenuto vivo grazie alle mie passioni di ogni giorno. La sorpresa più grande è stata sorprendermi a pensare in inglese durante la mia prima sessione di shopping californiano, come se fossi una vera ragazza americana. Mi muovo tranquilla per le strade di Point Loma (il quartiere in cui alloggio, ne parlerò prossimamente), mi sono spinta fin sulla spiaggia per riassaporare l’oceano, il suo vento, le palme all’orizzonte e i surfisti in lontananza.

E lunedì pomeriggio, mentre sedevo sulla sabbia, finalmente mi sono sentita libera, mi sono sentita me stessa, a metà tra la compagnia di ragazze semisconosciute e la solitudine obbligata di alcuni momenti. Voglio vivere così, in un paese dove posso camminare per strada e nessuno presta attenzione a me, solo una ragazza come tante che semplicemente vive, è se stessa, passeggiando per Downtown o dedicandosi a un futile giro per negozi. Se provo ad immaginare un’idea di felicità per me, oggi mi vedo a camminare per strada verso il lavoro, tranquilla e con tanti progetti in testa, magari con un ovvio Iced Tea Lemonade Passion di Starbucks in mano. Era così anche quando tutto è iniziato, la mia prima volta negli Stati Uniti, la prima volta che me la sono data a gambe per cercare di rimettermi a posto. Oggi come allora, mi ritrovo a pensare “Tu, ora, in questo posto”: partire era l’opzione più giusta, continuerà ad esserlo.

Vola via con me: tutti i luoghi che vorrei visitare

Sapete cos’è una bucket list? Si tratta di una lista di obiettivi da raggiungere, che può avere qualunque tema: esperienze di vita, libri da leggere, film da vedere oppure luoghi per cui vale la pena fare la valigia. Oggi vi parlo di alcuni dei viaggi sulla mia bucket list, di mete che vorrei tanto visitare e per cui, prima o poi, spero davvero di poter partire. Naturalmente la lista non include solo questi itinerari, ma quelli di cui vi parlo oggi sono proprio quelli per cui partirei subito!

Pacific North West

Credits www.travel.aarp.org

Questa lussureggiante regione degli Stati Uniti è entrata da poco nella mia lista dei desideri, senza un particolare motivo. Io conosco solo una persona che è stata da queste parti, e probabilmente è per questo che sono tanto curiosa di visitarla: anche online infatti si trovano poche guide o diari di viaggio. Il mio viaggio ideale sarebbe un on the road, partendo da Seattle per poi spingersi lungo la penisola di Olympia e scendere lungo la costa, fino a Portland, la principale città dell’Oregon. Mi piacerebbe anche fare il percorso inverso e sconfinare a Vancouver!

Bruges

Credits www.bruges.it

Una delle mete europee che mi attirano di più (e anche una delle più care): questa piccola ma romantica città è famosa per i suoi canali, il suo cioccolato e la sua atmosfera artistica. Mi piacerebbe tantissimo visitarla d’inverno, magari abbinando al viaggio anche una puntatina a Gand e Bruxelles. Lonely Planet ha recentemente pubblicato la guida pocket dedicata a questo itinerario: un’ottima scusa per sperimentarlo!

Scozia del nord

Credits www.isleofskye,com

Lo so, da me non ci si aspetta una meta simile: avete presente quei paesi minuscoli, in mezzo a una brughiera frustata dal vento, dove ci siete voi, un pub pieno di gente e quattro pony? Ecco, io un tour del genere lo farei. Su e giù tra Aberdeen, Inverness e Wick, tra una birra e un ombrello perennemente aperto (il tour dell’Irlanda di nove anni fa mi ha insegnato qualcosa), spingendosi fin sui promontori e a Skye, nelle Ebridi. Vi ho già detto che le tradizioni celtiche mi affascinano moltissimo, vero?

San Pietroburgo

Credits www.paolonori.it

Una di quelle mete perfetta per chi, come me, non sopporta il caldo: proprio come Helsinki o Tallinn, San Pietroburgo si adatta bene ad una visita estiva, in quanto le temperature medie si aggirano intorno ai 20 gradi. Ho visitato tre diverse città sul Baltico e mi sono piaciute tutte, ma San Pietroburgo mi sembra la più romantica di tutte (sì, ho visto troppe volte Anastasia) e anche la più magica, con tutti quegli strani aneddoti sui Romanoff.

New England

Credits www.capecod.com

Penso che questa sia la meta autunnale perfetta: tra pumpkin pie e tacchini del ringraziamento, la costa nord atlantica degli Stati Uniti si anima con i meravigliosi colori del foliage, quel fenomeno tanto apprezzato dagli instagramers che vede gli alberi riempirsi di foglie gialle, rosse e arancioni, appena prima che cadano. Non c’è una città precisa su cui punterei, se non Cape Cod (per me il paragone con Capeside e Dawson’s Creek è scontato!), sulla penisola proprio di fronte all’isola di Martha’s Vineyard: qui il tramonto è davvero spettacolare.

Cosa mi ha lasciato il Canada

C’è qualcosa al di là dell’Atlantico che mi mette le ali al cuore: non so spiegare bene perché, ma quando volo via dall’Europa e metto piede in un nuovo paese, uno di quelli visti soltanto nei film, io mi sento completamente a mio agio, come se avessi vissuto lì per sempre, come se fosse lì ad aspettare proprio me. Oggi vi parlo della mia avventura canadese, ma in un modo un po’ diverso dal solito: un po’ perché il mio piccolo tour è stato abbastanza serrato e privo di tempo libero, e quindi non ho molti consigli da dare, un po’ perché ho voglia di raccontare cosa è stato per me questo breve viaggio.

Le Cascate del Niagara viste dal lato canadese

E’ stata una settimana molto intensa: io in realtà sono partita principalmente per un tour di concerti di musica barocca, a cui poi sono state agganciate diverse visite turistiche (e una breve fuga fuori programma!). Toronto è una città verticale, passeggiare tra le sue strade in mezzo ai palazzi è stato assolutamente naturale e accogliente: mi ha ricordato un po’ New York, con i suoi grattacieli, alcuni edifici ottocenteschi e perfino una zona che sembrava la replica di Times Square, c’era perfino la stessa chitarra rotante fuori dall’Hard Rock Cafe! Avrei tanto voluto salire sulla CN Tower ma purtroppo non ne abbiamo avuto il tempo, e ci siamo limitati a girarle intorno in auto, per scattarle qualche foto.

A metà settimana ci siamo spostati verso Ottawa, la capitale: abbiamo percorso 449 km in auto, sotto una pioggia infinita. Il viaggio è stato lungo e faticoso ma mi ha dato la possibilità di vedere un po’ del vero Canada, tra alberi che stanno tornando verdi, spazi immensi, e catene di caffetterie come Tim Horntons a ogni angolo! E lo ammetto, un po’ per il caffè, un po’ per il wifi, ci hanno davvero salvato. La visita a Ottawa è stata davvero lunga, ci ha occupato l’intera giornata, ma io comunque ne sono rimasta piacevolmente colpita: è molto europea, una capitale dall’architettura classica con edifici imponenti, come quello che ospita il parlamento. Ci sono anche un paio di punti panoramici molto belli, tutti con vista sul fiume. Il penultimo giorno lo abbiamo dedicato alle cascate del Niagara e ai paesini nei dintorni: qui siamo proprio al confine con gli Stati Uniti, e pensare che dall’altra parte del fiume c’è uno dei luoghi a cui sono più legata mi ha davvero emozionata. Se avessi voluto avrei persino potuto attraversare il confine, dato che nelle mie tasche c’è ancora il visto turistico!

Se devo dire la verità, non nutrivo particolari aspettative su questo viaggio. Ero emozionata perché questa è stata la mia prima trasferta canora, ma non mi aspettavo di restare così affascinata dal Canada, non mi aspettavo di sentirmi di nuovo come mi sono sentita negli Stati Uniti. Non pensavo che in una settimana avrei potuto dimenticarmi completamente dei pensieri pesanti che invece mi accompagnano nella mia vita quotidiana, non pensavo che, insieme a persone più o meno conosciute, sarei riuscita davvero a liberarmi un po’ la mente e il cuore. E invece, proprio come dicevo all’inizio di questo post, c’è qualcosa, in questa parte del mondo, che rende tutto così semplice e naturale. Il Canada mi ha ricordato che sono capace di essere coraggiosa, di vivere i miei sentimenti fino in fondo, di essere me stessa e superare la timidezza, cercando di trovare una connessione con ognuno dei miei compagni di viaggio. So che tanti pensano che anche nel posto in cui vivo potrebbe essere tutto così, e da un lato è vero: dall’altro, però, qui ci sono ancora cose che per me sono pesanti e non mi permettono di sentirmi libera e, come mi piace pensare, “perfettamente perfetta”, una ragazza che ha ricominciato a sognare e che si sente nel posto giusto al momento giusto. Ho portato a casa qualcosa di prezioso: la fiducia nelle mie capacità e un promemoria del fatto che io non sia del tutto parte della tappezzeria. E’ stato bello? Sì, tanto, soprattutto perché, come la maggior parte degli eventi che mi accendono, è stato totalmente inaspettato.

Londra in un giorno? Si può fare!

Londra in un giorno? Vi assicuro che si può fare…con i dovuti accorgimenti! Il segreto è, ovviamente, programmarsi tutto per tempo quando siete ancora a casa, onde evitare spiacevoli inconvenienti, come è successo a me che ho dovuto tagliare parte del mio giro a causa del ritardo di EasyJet. Un altro piccolo consiglio: se non siete mai stati a Londra, forse è meglio che la vostra prima volta in città sia per una vacanza vera. Riservate questo tour de force a quando avrete imparato ad attraversare la strada guardando dalla parte sbagliata, e a capire cosa significa Westbound ed Eastbound in metropolitana.

Da Trafalgar Square a Westminster, lungo la Whitehall

Primo punto, ovviamente, l’aereo: il primo volo del mattino è quello di EasyJet a Linate, segue quello delle 7.35 a Malpensa. In un’ora e mezza sarete a Gatwick, e da lì, con 45 sterline, potrete prendere il Gatwick Express e in circa mezz’ora essere in città, a Victoria Station! Per quanto riguarda i mezzi pubblici, io ho scelto la travel card giornaliera, e non la Oyster ricaricabile, perché mi sembrava molto più comoda e anche più conveniente, in quanto non so quando tornerò a Londra la prossima volta e quindi non aveva senso acquistare una tessera ricaricabile.

Parliamo ora della mia “passeggiata”: sarebbe dovuta iniziare da Marble Arch, per poi proseguire attraverso Hyde Park in direzione Victoria & Albert Museum, ma sono arrivata direttamente al museo perché avevo già perso tempo prezioso in aeroporto. Se dovessi tornare indietro probabilmente salterei il museo: anche se è gratis e ricco di collezioni interessanti (i cartoni preparatori di Raffaello sono meravigliosi), al suo interno ho speso ben due ore, e se volete vedere molte cose non è proprio l’ideale. Per questo motivo, anche la mia passeggiata con pranzo a Notting Hill e Portobello Road è saltata.

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Sono poi scappata in direzione Temple, sullo Strand: questa via è una parallela del Tamigi, e si trovano tanti negozi interessanti, tra cui quello ufficiale Twinings, dove potrete trovare una varietà impressionante di té, e potrete comporre la vostra scatola personalizzata! La più piccola, riempita con 20 bustine, costa 23 sterline: Londra è carissima ma questo mi sembra un prezzo abbordabile, considerato che la maggior parte dei prodotti non sono reperibili in Italia. Il pomeriggio è poi continuato a Covent Garden: la stanchezza iniziava a farsi sentire, quindi ho solo passeggiato per il mercato coperto, dove ho anche preso l’immancabile afternoon tea in un delizioso locale gestito da ragazzi francesi. Sicuramente tornerei per esplorare meglio questo quartiere, mi piacerebbe molto visitare Neal’s Yard.

La metropolitana londinese non è tra le mie preferite, quindi per il ritorno a Victoria Station ho scelto di prendere un bus: a Londra trovo sia fantastico salire (rigorosamente al piano superiore) e fare la turista sfacciata piazzandosi in prima fila e scattando foto, lo trovo un ottimo modo per vedere la città senza consumarsi le suole delle scarpe! Così sono riuscita anche a passare da Trafalgar Square (mi piace tantissimo questa piazza) e ovviamente da Westminster, perché non è un viaggio a Londra senza una foto al Big Ben. L’ultimo volo low cost è ancora una volta con EasyJet in direzione Malpensa, alle 20 circa.